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Suggerimento: leggere o rileggere brani del <Mistero buffo>di D. Fo

Scritto per un gruppetto di amici che aveva scelto la non facile strada di proporre e condividere buone letture. Essendo giunti nel bel mezzo del mese di febbraio, non si poteva fare a meno di prestare qualche attenzione al Carnevale, proprio per i molteplici aspetti culturali che esso può richiamare.

***

 

Il Carnevale, dunque.

Avendo perso la sua carica dirompente, il Carnevale sembra oggi risolversi in una “banale”, anche quando voglia satireggiare, e planetaria competizione fra industrie di prodotti di consumo, da quelle che immettono sul mercato materiale cartaceo per maschere addobbi e festeggiamenti, a quelle che realizzano effigi e allegorie semoventi, a quelle che producono costumi e accessori, e ancora a quelle che organizzano pubblici divertimenti o anche soggiorni turistici.

Certo sarebbe molto interessante studiare sotto il profilo economico questo specifico settore del mercato e il suo retroterra lavorativo. E anche su quali propensioni culturali faccia leva, al presente, una così notevole mole di consumi.

Però, assai più modestamente, del Carnevale si può assaporare qualcuno

degli effetti comici del suo antico impeto eversivo. Nessuno, al pari di Fo,

anche amputato della sua straordinaria fisicità interpretativa, poteva regalarci questo piacere.

Si può rendere domestica la mia ricetta difficile, utilizzando – se disponibile e in regime di amicale condivisione – un amico padano, non troppo cattivo lettore, e far le orecchie all’immagine acustica di Fo, gelosamente conservata nella memoria, sorvolando a piè pari lo sciupio delle tante parate “a vendere” e  mobilitando le energie in direzione del senso autentico  della buffonata e del riso custoditi nei brani del “Mistero buffo”.

A questo punto mi sembra lecito pormi il seguente quesito: che relazione intercorreva tra i misteri religiosi ( cioè le rappresentazioni sacre) e gli arditi e un po’ sregolati festeggiamenti popolari che passano, dal Cristianesimo maturo in poi, sotto il nome di Carnevale?

Quest’ultimo si presenta come un’interpunzione profana dentro la liturgia sacra Cristiana. Perché?

E’ ancora Dario Fo a darci risposte chiare e accessibili.

Mistero” è il termine – dice - usato già dai greci dell’epoca arcaica, per definire culti esoterici dai quali prendevano vita le rappresentazioni di eventi sacri: misteri eleusini e dionisiaci. Il termine fu ripreso dai cristiani per indicare i propri riti fin dal III e IV sec. dopo Cristo…(….) Nel Medioevo “mistero” acquista tout court il significato di rappresentazione sacra.”

La rappresentazione sacra – così condenso io - diventa, strada facendo, anche buffa. Perché il popolo minuto trova agio in quelle occasioni di dire la sua, nel modo buffonesco e irriverente che gli è congeniale, anche per la dimensione “basso-corporea" del suo linguaggio sui fatti che lo riguardano e sui comportamenti avidi e arroganti dei potenti, siano laici o religiosi. Il popolo e i suoi giullari mascherati volta a volta da Gesù, Madonne, santi, imperatori, cortigiani, servi e zotici sviluppavano dei canovacci scenici che talora si concludevano nelle chiese “con dei finti ma realistici” processi agli intoccabili del momento.

In molte occasioni la giullarata diveniva una vera e propria contestazione di popolo nei confronti dei potenti e delle autorità esose e truffaldine. Altrettanto spesso seguivano sanzioni per i giullari troppo arditi e interdizioni dell’accesso del popolo recitante nelle chiese.

In non pochi casi, è ancora Fo a raccontare,  seguirono vere e proprie condanne capitali come quella toccata al bravissimo giullare Hans Holden. Costui, ignorando l’editto proibitorio, aveva recitato l’ubriacatura del re Davide. Perciò morì arso vivo.

Sta di fatto che le rappresentazioni popolari religiose, pescando anche in un patrimonio di credenze e tradizioni anteriori al cristianesimo (sincretismo religioso), furono ritenute pericolose per i poteri costituiti, quindi gradualmente espunte dalla liturgia religiosa voluta dai chierici e dal potere temporale. Esse si connettevano, però, con istanze umane troppo vive, tali da non poter essere semplicemente cancellate a colpi di anatemi e decreti punitivi. Si dovette in qualche modo e soltanto parzialmente tollerarne la sopravvivenza, inglobandola nel culto dei santi, ma spegnendone via via i significati più vitali

L’ebbrezza, la follia e altri sconvolgimenti dello spirito sono anche espedienti tecnici intelligenti, inventati o reinventati dalle plebi, mediante i quali l’indicibile poteva essere detto attraversando la soglia troppo difesa della coscienza asservita e dopo aver pescato nel profondo serbatoio del disconoscimento e dell’umiliazione.

Il dizionario di arte e letteratura Zanichelli, da me ancora consultato dice tra l’altro: ”Lo strumento utilizzato per attuare il processo della carnevalizzazione è fondamentalmente il linguaggio popolare e plebeo, la lingua non ufficiale, gioiosa, triviale che trasforma la paura cosmica della morte nel terrore gioioso del carnevale”.

Aggiungo, però, che la riduzione carnevalesca dei ruoli dei potenti e l’uso dei registri plebei e dissacranti del linguaggio, hanno poco o nulla a che fare – mi sembra – con la cattiva qualità degli attuali e invalsi registri della comunicazione, piuttosto miope e appiattita sui temi e  registri di certe emittenze dominanti. Mi sbaglio?

E poi, che importa se siamo già alle Ceneri?
E infine, un'altra osservazione. Quando i potenti e i capi rubano alle plebi linguaggio e senso e li riciclano per l'uso, svuotati di ogni connotazione dirompente, allora non è forse il caso che il "popolo" diventi più raffinato e avveduto e intelligente da  abbandonare nelle loro mani quell'arnese, senza servirsene, e pescarne nella propria storia e  inventiva (magari con fatica) uno migliore?
Che i giullari del popolo siano giullari alla Fo o alla Paolini!  

 


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